La sovrapposizione di tendenze e stili che, almeno dalla fine dell'800, la moderna esperienza figurativa propone ai nostri sensi e alla nostra comprensione ci ha indotti troppo spesso a considerare valida ogni espressione di rigetto del passato, fino a considerare capolavoro qualsiasi forma di provocazione, purché originale, astrusa e dirompente. Il fenomeno, indotto da una politica commerciale priva di scrupoli e sostenuta dalla compiacenza di critici d'élite, non si perita di contrabbandare per geniali opere a cui meglio si approprierebbe il titolo di pure mistificazioni. A nulla varrebbe far osservare che se l'Arte è sempre originale, l'originalità non è necessariamente Arte. Il supino assoggettamento al credo del commercio, sempre pronto a speculare sulla tasca di uno sprovveduto e illuso collezionista, rende vana tale lapalissiana verità, e rende inattuabile un dialogo franco e disinteressato fra la critica e la ragione. Manzoni docet. Crediamo dunque sia proprio con un occhio critico alla tradizione, e vigile ad una odierna onestà intellettuale, che converrà porci di fronte alla variegata attività materica di un artista come Giocampo, al secolo Giovanni Camponeschi. Come attesta il suo curriculum, egli proviene da esperienze di vita pittorica d'accademia, ma anche da un profondo coinvolgimento religioso e più ampiamente spirituale, che lo rende capace di una intesa con la natura, e gli consente di vederla e interpretarla a volte realisticamente, a volte metafisicamente, sempre con grande coerenza e idilliaco gusto lirico. Un tracciato lineare, ben definibile, guida quindi il suo percorso artistico attraverso le forme di collage, e di pittura ad olio o ad acrilico. Il godimento del "bello" attraverso l'armonica interpretazione ludica delle forme, del colore, e delle materie induce l'artista ad una evidente ed eccitante ansia alla creazione della sua originale realtà, sospesa magicamente fra la dinamica metafisica e una sorta di contemplazione angelica. Una dicotomia, e nel qual tempo un'unità, che la natura stessa rivela, purché si abbia la capacità di sorprenderla ed acquisirla. Del resto è chiara la risonanza con la scuola divisionista e futurista quale si affermò in Italia nei primi decenni del secolo scorso, ed ancor prima, da Balla a Carrà, da Russolo a Boccioni. Ad essa, e alla relativa teoria fisica della luce, va forse attribuito l'audace accostamento dei colori proprio dei Ritagli, o dei Discoidi, in una resa di viva luce, quale appunto lo stesso Autore riconosce quando intitola spontaneamente un collage "Luminescen za". Colore e luce che si riscontrano peraltro in tutta la produzione pittorica dell'artista. Dal punto di vista puramente figurativo e compositivo, sembra che l'autore sia soggetto all'ansia di dissettare la realtà naturale per poi riviverla, e farla rivivere, nelle forme più ascetiche del credo cri stiano. Se i discoidi suggeriscono una sott’in te sa allusione allo scomposto e vivifico dina mismo della nostra attualità, ruotando su se stessi o in serie come oggetti e corpi disarticolati, ecco d'altra parte, nei due "Angeli sulla città", la limpida apparizione di Cherubini che sovrastano indulgenti le dimore dell'animo umano, dissolvendo su di esse la provvidenziale catarsi divina. L'ambiente in cui vivono i personaggi rappresentati, le Madonne e gli Angeli, colti a volte in una inevitabile ma moderna rivisitazione classica, è il cielo stesso, inteso sia come sfondo coloristico, spesso presente con la connotazione dello Spirito Santo, sia come indice spirituale, presupposto fondamentale di tutta l'opera creativa del pittore. Si staglia nettamente da questa cornice, almeno formalmente, l' "Angelo musicante", espressione vivida di un concetto quasi teologico. Nel bel colore rame vivo che si accende come guizzo sulle ali, e che contorna come un fuoco dantesco la figura di un angelo ammiccante alla serenità e alla bontà, sembra quasi di scorgere un retroscena tragico: intuire in esso il monito a non trasgredire, a non farsi coinvolgere dal rosso cupo del peccato, ma uscire da esso trionfante, ad ali spiegate, cantando le lodi del Signore. Altrettanto sui generis è il collage "Pavone", che in tutta la sua propulsione di raggi luminosi sarebbe certamente piaciuto a Ligabue.
Un artista, Giocampo, che come si vede ha la capacità di esprimersi attraverso modalità diverse e originali, che si potrebbe dire forse ancora alla ricerca di una sua unità formale, ma che ha un grande e fondamentale merito: "Il merito di essere un pittore che ha scelto la Pittura". Espressione, questa, ed anche paradossale e provocatoria verità, che spesso, insieme all'acutezza propria dei suoi giudizi, abbiamo ascoltato da quel fine intenditore d'arte che è Vittorio Sgarbi, e che a noi, ottimisticamente, piace considerare quasi come un segno premonitore del risveglio e dell' affermazio ne di una nuova critica, coraggiosa, onesta, e razionale.
Prof. Sergio Angelo Picchioni [Glottologo]
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