IL SIMBOLISMO DI GIOCAMPO
L'occasione di vedere le tele minuziose e ben composte di Giocampo, al secolo Giovanni Camponeschi, sistemate alle pareti del Novotel Space - nei pressi dell'aeroporto di Milano Linate fino al 28 aprile 2007 - rappresenta un'occasione che consente di incontrare un artista romano poco noto, ancora, in Lombardia.
Diverse sono le energie che convivono nel pittore: quella figurativa, tradizionalista, neoquattrocentesca degli Angeli e dei soggetti religiosi, quasi un "realismo con poteri straordinari" composto in uno spazio ordinato e luminoso, ricco di significati profondi.
Giocampo, per rendere tutto più puro, libera ogni rappresentazione da qualsiasi traccia di quotidianità; ogni scena è fuori da tempo e luogo, quasi appartenga solo alla narrazione del pensiero incontaminato. Poi c'è il Giocampo "geometrico" dove l'ambito non esiste più e ogni riferimento, anche casuale, è svanito. Sono composizioni dallo spirito coerente e preciso e dai colori brillanti. Sono composizioni che occupano uno spazio mentale integrale, lontano da ogni riferimento visivo, è pura razionalità. C'è infine l'artefice del collage che invita al miraggio lusinghiero. Gli sfondi delle città, rosse e immaginarie, lasciano spazio alla traiettoria del volo d'uccelli che solcano il blu dei cieli.
Riporto una parte del colloquio che ho avuto domenica 1° aprile con l'artista e forse capisco qualche cosa in più: concludo che quello che lui cerca per la vita ha un'espressione anche visiva.
M.S. - Se dico "essere un artista oggi", tu cosa pensi?
G. - Che l'arte è un valore eterno e che fa crescere dentro. Dev’ essere un'esperienza vissuta e che insegni qualche cosa. Per me deve coinvolgere tutto il mio essere. La sfera del vivere che spazia nello spirito.
M.S. -Come hai incominciato?
G. - Da piccolo, da sempre. Disegnavo Angeli, sempre. Dopo l'Accademia, la facoltà d'architettura ed il lavoro in teatro, ho intrapreso studi filosofici e di scienze religiose. Tutti apprendimenti che reputo fondamentali per la mia vita e per la mia arte. In pratica ho sempre dipinto e progettato, perché mi ha sempre attratto la creatività dell'immagine, anche quando rappresentava per me solo un hobby.
M.S. - Il "racconto" di una tua tela è preparato prima o si forma mentre lavori?
G. – Ho dentro un'immagine o la percezione di una forma, allora la materializzo sulla carta o sulla tela, anche senza uno schizzo preparatorio, perché la “vedo” già completa.
M.S. - A quale città fai riferimento negli sfondi?
G. - A nessuna in particolare. È l'umanità, il mondo, la città degli uomini...
M.S. - Hai pensato di realizzare un libro d'artista?
G. - Mi piace scrivere racconti, un po’ il racconto scritto di quello che dipingo, ma rimangono, almeno per ora, in un mio cassetto…
M.S. - Come t'inserisci nel panorama di oggi?
G. - Un po’…fuori. Nel senso che non seguo nessuna corrente. Amo la storia dell'arte e la vita degli artisti, ma ho perso il filo di quelli odierni. Non mi basta che ad un elenco di colori si possa attribuire il valore di arcobaleno. Mi sembra troppo facile.
M.S. – Qual’ è la poetica che ti lusinga di più, quella realista o quella astratta?
G. – Con il mio lavoro, cerco di trasmettere emozioni, sensazioni che vivo. Lo stimolo all’esprimersi, poi, mi porta ora qui ora là, attraverso il figurativo o l’ astratto, così come l'uso di materiali differenti.
M.S. - I tuoi artisti preferiti?
G. - Probabilmente sarà banale, ma i classici, quelli con l'A maiuscola. Davanti ad un Piero della Francesca mi emoziono e commuovo…Quelli che sanno creare atmosfere, spesso silenziose, con un linguaggio tutto da scoprire, come un De Chirico o un Casorati.
M.S. - Se volessi toglierti un capriccio cosa faresti?
G. - Un volo nella Galassia.
Michela Sala [Critico d'Arte]
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